Quest'articolo è stato aggiornato il giorno: venerdì 29 ottobre, 2021
Guardando alla storia dell'informatica col classico 'senno di poi', si scoprono cose a cui, nel momento in cui succedevano, si era data troppa importanza.
Oppure, troppo poca.
In effetti, non è solo una tendenza del popolo informatico, quella di sovra o sotto stimare avvenimenti, uomini ed idee, ma è un po' condizione generale dell'essere umano.
Nell'informatica, però, tutto questo assume un ben altro tipo di sapore; perché è una parte della scienza che, teoricamente, non dovrebbe ammettere sovra o sotto stime; quando quindi queste capitano, e magari modificano pesantemente la storia dei circuiti elettronici, assumono per l'appunto tutto un altro significato.
Ad esempio: chi l'avrebbe mai detto che due ragazzotti che avevano abbandonato gli studi, entrambi chiamati Steve, potessero fondare una delle prime industrie elettroniche al mondo?
Oppure: chi avrebbe detto che il logo di una mela, ritenuto 'demodé' anche all'epoca, poi divenisse quanto di più 'moderno e cool' nel nuovo millennio?
Od anche: chi l'avrebbe detto che da un garage di casa, si potesse arrivare a produrre calcolatori in tutto il mondo, creando una società da oltre 50 miliardi di dollari di capitalizzazione?
Sì, a volte è proprio vero: bisogna pensare differente.
Questo è solo un breve riassunto, che non ha chissà quale pretesa, della storia di una mela, morsicata per giunta, di due ragazzi con pochi soldi ma tante visioni, e di miliardi di persone che, se ora possono scrivere comodamente col loro tablet dal divano di casa...
Beh, un po' qualcosa devono all'azienda con sede a Cupertino, California, Stati Uniti d'America.
Verso la metà degli anni ’70 dell’ormai passato secolo (e millennio), un ragazzo americano di origini polacche, chiamato Steve Wozniak, dalle non comuni doti di intelletto, era talmente povero che non poteva permettersi neppure un Motorola 6800, che avrebbe tanto voluto usare per dar vita ad un’idea che gli ronzava per la testa già da svariato tempo: costruire un computer economico, assemblando assieme vari pezzi e risparmiando sulle cose ritenute superflue.
Mr. Wozniak però non aveva i 170 dollari americani per comperare tale CPU, e quindi dovette arrangiarsi come meglio poteva: cominciò ad ideare e progettare il suo calcolatore sulla carta.
Fortunatamente, di lì a poco i prezzi delle CPU si abbassarono (per via dell’intuizione di Federico Faggin e l’inizio della sua Very Large Scale Integration), e Wozniak poté comperare, a cifra molto più contenuta, un MOS 6502.
In poco tempo, riuscì a scrivere un porting del linguaggio BASIC per la nuova CPU e, una volta ultimata, cominciò anche a progettare la sua idea di base, ovvero un calcolatore completo ed economico.
Quando ebbe quasi interamente finito il progetto, il fato volle che, in una delle tante conferenze sull’informatica, Wozniak incontrò il suo vecchio amico Steve Jobs che, lasciato il college per tentare la fortuna da ‘self-made man’, stava giusto cercando una buona idea per buttarsi in affari.
Jobs si dimostrò subito enormemente interessato al lavoro di Wozniak, e i due decisero di fare coppia fissa, mettendosi quindi in affari assieme.
Se Wozniak era un bravissimo ingegnere informatico, Jobs era invece un grande uomo d’affari; in erba, ma pur sempre grande.
Prese certi accordi con un negozio locale di informatica (l’ormai famoso The Byte Shop) e, presentandogli la macchina di Wozniak bella che ultimata, convinse il proprietario ad affidargli una commenda di ben 50 unità.
Il rivenditore fiele avrebbe pagate ben 500 dollari l’una: una degna cifra, all’epoca!
Unico vincolo: le macchine dovevano arrivare al negozio già assemblate.
E questo, era un bel problema per i due Steve, che non avevano di certo la potenza industriale per assemblare 50 unità in un garage.
Con qualche stratagemma però, Jobs riuscì a trovare (quasi) tutti i soldi per finire il progetto, ed onorare la consegna: era nato il primo computer Apple della storia, il famoso (ed ora, rarissimo e costosissimo) Apple I.
Il computer, semplice ma abbastanza potente e veloce per l’epoca, aveva la caratteristica di risparmiare di molto sulle spese di un monitor, in quanto poteva essere attaccato direttamente alla TV.
La scelta si rivelò felice, e The Byte Shop riuscì a vendere, in poco tempo, tutte le macchine.
I due amici fecero entrare Ronald Wayne nella piccola azienda, e continuarono ad assemblare computer. Per trovare i fondi necessari, Jobs arrivò a vendere anche il suo camioncino Volkswagen… Od almeno, la leggenda dice questo.
Tra mille difficoltà, i due Steve riuscirono a proseguire nel lavoro e, con un bel finanziamento di 250.000 dollari preso da Mike Markkula, un investitore che aveva inuito le enormi potenzialità del progetto di un calcolatore per tutti, finalmente poterono fondare, ufficialmente, la Apple Computer Inc.
Era il 1° aprile del 1976, ma il tutto non sarebbe stato affatto uno scherzo.
Dopo poco tempo, dalla mente (e le mani) geniale di Wozniak, uscì il successore dell’Apple I, ovvero l’Apple II.
Calcolatore abbastanza rivoluzionario per l’epoca, non si limitava a visualizzare solo stringhe di testo, ma anche colori.
Sebbene dotato di case e tastiera migliori dell’Apple II, il calcolatore era funzionale ma ancora abbastanza giovane nello sviluppo, visto che difettava di un vero Sistema Operativo e che necessitava di scritture in BASIC per programmarlo a dovere. Fu comunque presentato, anche se incompleto, da una fiera di computer, nel 1977, ed ormai si ritiene che la sua presentazione, sia da far coincidere con la nascita dei personal computer.
Il computer si rivelerà un autentico successo, facendo fare alla Apple soldi a palate.
Ora, Jobs e Wozniak avevano abbastanza denaro da investire in un progetto molto, molto più grande.
Per farvi capire il livello di penetrazione della macchina: agli inizi degli anni '90, ancora molte scuole americane, avevano gli Apple II come computer per la didattica.
Purtroppo, un brutto incidente causò a Wozniak diversi problemi (tra cui un periodo di amnesia), con conseguenze abbastanza gravi, che fecero declinare la sua figura in Apple sempre di più.
Neppure il progetto del rivoluzionario Lisa, rivelatosi purtroppo un mezzo fiasco, riuscirono a riportare in alto la voglia di inventare di Wozniak.
Anche l’Apple III, in cui Wozniak comunque ebbe un ruolo di primo piano, ebbe risultati deludenti.
Nel 1985, a pochi mesi dal rilascio del primo Mac, Steve Wozniak lascerà definitivamente Apple Computer.
Jobs, infuriatissimo per il suo abbandono, non glielo perdonerà mai e, per tutta la sua vita, cercò perennemente di mettergli i bastoni tra le ruote, in qualsiasi sua impresa… Condannandolo, di fatto, ad una specie di ‘morte civica’ da cui Wozniak non si sarebbe più ripreso.
In un mercato dei personal computer ancora tutto da conquistare, ed in cui c’erano sì grandi possibilità ma anche grossissimi rischi (i fallimenti di Lisa e l’Apple III bruciavano ancora, in quel di Cupertino), nel 1984 Apple presenta un progetto inizialmente partito in sordina, all’ombra degli echi non tanto gloriosi dell’Apple III, ma che nel tempo sarebbe divenuto IL successo, per la casa della mela morsicata: l’Apple Macintosh.
Dal curioso nome derivato dalla varietà di una mela, la McIntosh, era un personal computer davvero rivoluzionario per l’epoca: tutto in uno (“all-in-one”, come si sarebbe chiamato poi il genere dei PC compatti, con schermo incluso nel case), aveva preso le cose migliori dello sfortunato Lisa… Ed anche molto dei computer della Xerox, principalmente l’interfaccia grafica con scrivania ed icone.
Dal Lisa, prende anche l’idea di uso intensivo della periferica a puntamento ottico, ovvero il mouse: l’accoppiata mouse-interfaccia grafica sarà vincente e, nel 2014, sarà ancora utilizzata.
Con 128 KB di RAM saldati sulla scheda logica, la CPU Motorola 68000, un monitor CRT da 9”, mouse, lettore floppy (da 400 KB) ed un prezzo di quasi 2.500 dollari, il primo Mac della storia cambiò il concetto stesso di ‘informatica per le masse’.
Per la prima volta, era disponibile un computer completo di tutto, facilmente usabile e dalla discreta potenza (per l’epoca) ad un prezzo tutto sommato accessibile ($ 2.495 al lancio).
E sì: lo si poteva mettere anche sulla scrivania dell’ufficio.
Il lancio e le vendite iniziali furono un successo, anche grazie alla sagace campagna marketing ideata da Jobs.
Purtroppo, sebbene fosse indubbiamente una macchina interessante, il primo Mac aveva una quantità di problemi considerevole, a cominciare dall'assenza di una ventola di raffreddamento, nessun disco rigido interno e soli 120 KB di RAM, che cominciavano ad essere stretti anche all'epoca.
Questi problemi, uniti anche al progressivo abbattimento dei costi di produzione e di commercializzazione di altri costruttori (la Commodore, ad esempio), fecero crollare le vendite nel 1986.
Bisognerà attendere il Macintosh SE del 1987, per tornare a vedere copiosi volumi di vendita.
Dal primo Macintosh in poi, la strada per Apple vide momenti di gloria totale, uniti a periodi decisamente meno gloriosi (basti pensare a buona parte degli anni ’90), ma di certo, sempre assolutamente innovativi.
Per via di un’abbastanza cruenta lotta di potere con il nuovo CEO John Sculley, Jobs lasciò la società nel 1985, poco dopo il successo del primo Macintosh prodotto.
Fondò l’ottima NeXT Computer, che però non ebbe moltissimo successo.
Cosa che non si poté dire dei prodotti Apple, invece, che fino ai primi anni '90 rimasero ben saldi sulla cresta dell’onda, e con ottime vendite.
Jobs si legò al dito la ‘cacciata’ che subì dalla sua compagnia, e fece solenne promessa di ritornarvi, prima o poi, e prendersi delle belle rivincite.
Cosa che, effettivamente, farà dopo oltre un decennio.
Nel 1989, la Apple investì parecchi soldi in un’idea davvero innovativa, per l’epoca, ma che si rivelò forse troppo innovativa… Oltreché troppo costosa.
Il primo Mac portatile, il famoso Macintosh Portable, era un concentrato di tecnologia: autonomia elevatissima (anche per gli standard attuali), di circa 10 ore di utilizzo, ben 1 MB di RAM con CPU Motorola 68HC0000, LCD a matrice attiva con risoluzione VGA, uscita audio a 8bit… Insomma, una signora macchina, ai tempi.
Purtroppo, tale potenza ed autonomia, richiedevano un prezzo elevato: un peso ed un ingombro veramente eccessivo.
Anche il prezzo, oltre 6.500 dollari, lo rendevano fuori portata dei più.
Per questa e per tante altre scelte non felici, per Apple cominciò quindi un declino, sia economico che di immagine, che si protrarrà per buona parte degli anni ’90.
Anni in cui, invece, l’eterna rivale Microsoft era in piena ascesa, anche grazie all’accoppiata vincente con i prodotti Intel.
Nel 1996, in piena crisi di idee e con un Sistema Operativo ormai giunto quasi alla naturale fine del suo ciclo vitale, Apple acquistò per 400 milioni di dollari proprio la NeXT di Jobs, con l’obiettivo (neppure troppo celato) di usarne l’ottimo NEXTSTEP, per soppiantare il Mac OS.
Quando l’allora presidente Apple, Gil Amelio, si licenziò (avendo odorato l’imminente bancarotta), e proprio poco prima che Microsoft acquisisse tutta la baracca per 150 milioni di dollari, Jobs fece il suo grande ritorno.
Divenuto CEO con un compenso onorario di solo un dollaro l’anno (senza nessuna azione come contropartita), Jobs aveva un’idea ben precisa: riportare la Apple dalla parte delle masse, dopo che per tanti anni, prezzi impossibili e scelte sbagliate ne avevano causato l’inesorabile declino.
La rinascita ripartì con la produzione hardware: furono introdotti i nuovi, coloratissimi, portatili iBook e il nuovo all-in-one iMac, che si rivelerà un successo strepitoso, come ai bei tempi del primo Mac.
Dello stesso periodo, più o meno, la famosissima campagna “Think different” (“Pensa differente”) che diverrà un po’ il tormentone non solo dell’azienda, ma della comunicazione in generale.
La linea professionale fu totalmente rimpiazzata dai nuovi, potenti processori PowerPC (prima G3, poi G4), mentre a livello software, nel 2000 lo stesso Jobs diede l’addio ufficiale al vecchio Mac OS, per presentare il frutto della fusione con NeXT: Mac OS X.
Tuttavia, è sul finire del 2001 che la Apple centra il vero colpo che la porterà alla rinascita completa: l’iPod.
Il lettore multimediale, compatto e incredibilmente molto capiente (con mini-HDD incorporato), sarà la chiave di volta del successo senza freni degli ‘iDevice’.
Dal 2001 in poi, infatti, Apple si specializzerà, tra le altre cose, nella produzione di potenti ed innovativi prodotti per l’utenza consumer, in un’escalation che ad oggi ancora non conosce resa.
L’intuizione rivelatasi poi corretta di distribuire direttamente i contenuti per i dispositivi in vendita, tramite canali proprietari e con accordi a tutto tondo con case di produzione ed etichette varie, si completa con iTunes ed il primo iTunes Store.
Verso l’anno 2005, Jobs ritiene che i tempi sono maturi e le tasche sono belle piene per osare qualcosa di più, ed ordina di tirare fuori dal cassetto un’idea che già aveva sul finire degli anni ’90, ma che non aveva potuto realizzare per i già citati profondi problemi economici dell’azienda.
Erede concettuale (ed anche un po’ tecnico) dello sfortunato Apple Newton, iPhone è subito un grandissimo successo.
Benché non dotato di CPU particolarmente esaltante, senza slot di espansione, con batteria integrata (di difficilissima sostituzione) e strozzato da una connessione radio ancora in EDGE, il telefono è rivoluzionario per molti aspetti.
Ha un enorme display con digitalizzatore capacitivo da 3,5" (veramente enorme per l'epoca), solo quattro tasti fisici (di cui, in pratica, solo uno usato intensivamente) e un'interfaccia utente, in puro stile immediato di Apple, che diventerà lo standard per tutti gli altri produttori.
La commercializzazione del primo iPhone è ritenuto da molti il momento in cui l'informatica del mercato mobile, inziò a spodestare le utenze desktop.
Magari dare il merito tutto all'iPhone non è corretto, ma di certo si può dire che, con un dispositivo veramente innovativo per l'epoca, Apple abbia decisamente influito su una scelta naturale del mercato.
In breve iPhone ridefinisce il mercato mondiale della telefonia mobile, e scatena quella che in molti hanno chiamato “Rivoluzione Mobile”; ovvero, una corsa senza precedenti ad investire tempo, risorse ed energie specialmente nel mercato mobile, a discapito di quello tradizionale desktop.
Già dopo due anni dal suo ingresso nel mercato della telefonia, Apple era diventata la seconda azienda del settore, con una base di iPhone piazzati impressionante (circa il 40% del mercato smartphone).
Con queste premesse, Jobs presenterà alcune altre novità, sempre sul finire degli anni 2000: il primo, sottilissimo MacBook Air (che lancerà la nuova tendenza dei laptop ultra-thin) e, soprattuto, l’iPad, che sdoganerà per primo la moda dei tablet.
Nell’ottobre del 2011, malato ormai da tempo di una neoplasia al pancreas, Jobs si spegne nella sua casa di Palo Alto, in California, a soli 56 anni.
Come ultimo regalo all’azienda che ha fondato, che gli ha dato tutto e a cui ha dato tutto, lascia in eredità l’ultimo iPhone, iPhone 5, e il progetto del nuovo iOS, iOS 7.
Con la sua morte, la Apple perde il suo fondatore, oltre che il suo visionario leader e, diciamolo, anche salvatore.
Dopo la dipartita di Jobs, il CdA della Apple nomina come nuovo CEO il suo braccio destro, Tim Cook.
Vengono prodotti i nuovi iPhone 6, iPhone 6 Plus ed il nuovo potentissimo MacPro (per le utenze professionali), mentre il nuovo modello di business rende molte delle storiche applicazioni un tempo a pagamento gratuite, a patto però di comperare il nuovo hardware.
Alla morte prematura di Steve Jobs, il posto di CEO della Apple è stato preso da uno dei suoi più fidati collaboratori, Tim Cook.
Il passaggio non è stato di certo facile: la pesantissima eredità lasciata da Jobs, non solo spirituale ma molto più realisticamente gestionale, è stato un fardello di grave importanza per il dirigente di Robertsdale, che si è trovato nel bel mezzo di un mercato in piena rampa d'ascesa ma dall'iniziale saturazione (in particolar modo, il settore degli smartphone).
Idee comunque azzeccate come la rinnovata linea degli iPhone X - i primi a scostarsi radicalmente dal vecchio design dello storico primo iPhone - la serie "Pro" di iPad e un rinato interesse per il mercato del desktop hanno comunque arriso a Cook: nell'agosto del 2018, Apple diventa la prima società per capitalizzazione al mondo, con un patrimonio stimato di 1000 miliardi.
Solo venti anni prima, l'azienda era al limite della bancarotta.
Nel 2020, consapevole della grande esperienza accumulata con la produzione ben più che decennale di iPhone ed iPad, Tim Cook decide di abbandonare l’architettura X86 di Intel per abbracciare, anche sui Mac, la più energicamente vantaggiosa architettura ARM.
Nel novembre del 2020, durante l’evento “One More Thing”, il CEO di Apple presenta i primi Mac con un processore totalmente sviluppato da Cupertino, il System-on-a-Chip della linea Silicon (la stessa dei processori AX di iPhone ed iPad), chiamato Apple M1.
È l’ennesimo cambio epocale per Apple, che dopo 15 anni di matrimonio (non proprio passati felicemente) con Intel, torna a costruirsi i processori totalmente in-house.
Ma la storia della casa della mela, è comunque sempre un divenire.
Un divenire differente, è il caso di dirlo.
Ogni grande storia di successo, si sa, nasconde dietro tanti piccoli o grandi fallimenti.
Dalle centinaia di lampadine bruciate da Thomas Edison, prima di arrivare al prototipo funzionante, sino alle trentanove formule scartate da Mr. Norm Larsen prima della quarantesima, che gli avrebbe portato gloria e soldi (il famoso WD-40), tutta la storia delle invenzioni è coronata da epici fallimenti.
E così deve essere, a ben vedere: come si può gioire della vittoria, laddove non s’è giammai conosciuta sconfitta?
Filosofia spicciola a parte, anche per la Apple, non sono stati sempre momenti di gloria.
Nella sua più che trentennale storia, molti sono stati i progetti rivelatisi poi autentici fallimenti.
Dell’Apple III e del Lisa abbiamo parlato ma, purtroppo per l’azienda che fu del compianto Jobs, molti altri prodotti semplicemente… Non vendettero a sufficienza, neppure per coprire i costi.
In molti casi, non erano cattivi prodotti, anzi; solo, od erano troppo costosi, oppure troppo avanti, per l’epoca.
Oppure, entrambe le cose.
Ecco quindi una breve lista dei fallimenti made in Cupertino.
La cosa interessante è che molti prodotti hanno ancora caratteristiche ben più che commerciabili, anche ai giorni nostri.
Ne abbiamo parlato in alto, e poco c’è da aggiungere.
La cosa buona, di un progetto comunque che costò carissimo alla Apple, fu che la lezione servì, visto che poco dopo cominciarono ad arrivare i portatili veramente… Portatili.
Peso a parte, veramente esagerato, fu il prezzo, altrettanto esagerato.
Comunque sia, se ora possiamo goderci portatili ultra-sottili come il Macbook Air o i nuovi Macbook Retina, è perché qualcuno alla Apple, nel 1989, decise di tentare il nuovo mercato della computazione mobile.
Il primo computer classificato come ‘palmare’ della storia.
Fu per esso che Apple creò l’acronimo, famoso fino all’avvento di smartphone e tablet, PDA (Personal Data Assistant).
Introdotto nel mercato del 1993, quando la telefonia mobile era ancora tutto un mercato da conquistare e quando i laptop ‘portatili’ pesavano sui 3Kg, era un dispositivo davvero avanzato per l’epoca.
Così avanzato, che parte delle idee che lo caratterizzavano, vennero poi riproposte da Apple, molti anni dopo, nei suoi iPhone ed iPad.
Il suo nome completo era Newton Message Pad (senza i da nessuna parte), ed il primo modello uscito sul mercato, costava uno sproposito: quasi 1000 dollari!
Aveva un display monocromatico tattile resistivo da ben 5”, con una risoluzione di 480 X 320 px ed una profondità di 16 bit, con cui si interagiva per mezzo di una penna grafica.
Il processore era un ARM con architettura RISC, ed aveva 4 MB di RAM (furono portati ad 8 MB, nell'ultimo modello commercializzato).
Come connessioni, c’erano una SCIS ed una porta ad infrarossi.
Il punto forte del palmare, od almeno la parte che era ritenuta ‘breakthrough’ (l’innovazione principale) da Apple, era la modalità di immissione dati: Newton OS, il suo Sistema Operativo, incorporava un avanzato modulo di riconoscimento della scrittura, ed alcuni modelli avevano anche un modulo aggiuntivo per il riconoscimento vocale.
Apple garantiva la stessa semplicità di scrittura che si aveva, a mano, con un comunissimo blocco note, con tutti i vantaggi della digitalizzazione.
Purtroppo, tutto questo fu solo marketing: il palmare era al contrario dannatamente macchinoso da usare, ed il riconoscimento automatico di ciò che si scriveva, funzionava veramente male, rendendo tutta l’esperienza di utilizzo spesso estremamente frustrante.
Apple migliorò notevolmente tale problema nei modelli (in totale, otto) che immise sul mercato nei cinque anni di commercializzazione del prodotto, e l’ultimo prodotto, l'MP 130, si può dire che fosse un’eccellente macchina, molto più piacevole da usare, e dotata persino di retroilluminazione.
Purtroppo, ormai il palmare si era fatto una pessima nomea, così nel 1997, Apple ritirò tutti i modelli dal mercato e chiuse definitivamente il progetto.
Solo in ricerca, Apple accusò una perdita di oltre mezzo miliardo di dollari, e si può dire che il Newton fu uno dei motivi per cui l’azienda di Cupertino, sul finire degli anni ’90, fosse quasi in bancarotta.
Fu un peccato: il dispositivo era concettualmente avanzato, e tecnologicamente molto potente, per l’epoca.
Per certe cose, potrebbe essere utilizzato anche ai giorni nostri, senza eccessive limitazioni; certo, gli mancherebbero sicuramente le connessioni radio moderne, ma a livello prettamente operativo, le applicazioni installate nel Newton OS fanno, più o meno, tutto quello che fa un iPad moderno.
Soffrì forse troppo il problema della scrittura, che avrebbe dovuto invece essere un suo punto di forza, e questo non gli fece bene per nulla.
Però, rivedendolo a distanza di anni, si possono apprezzare le innovazioni che ha portato (sebbene ignorate dalla gente, ai suoi tempi), come: rubrica indirizzi ‘dinamica’, molto più simile a quelle che utilizziamo noi ora, rispetto a quelle che memorizzavano i primi cellulari (solo numeri e nomi), memo vocali, sincronizzazione col Mac OS (o Windows), possibilità di scrivere note e prendere appunti non solo di testo, ma includere grafica e note vocali… E tante altre cose, che si sarebbero riviste solo dopo un decennio, sul mercato consumer.
Tra tutte le innovazioni che il Newton ha portato, i fan Apple non possono non ricordare la mitica ‘beam’, che sarà implementata (stavolta via Bluetooth) solo nel 2013, con l’Air Drop.
In definitiva: un prodotto davvero avanzato che, sebbene con i suoi difetti, non si sarebbe meritato una fine così ingloriosa.
Ma costava troppo per la gente comune, mentre chi se lo poteva permettere, non era interessato: allo stesso prezzo, più o meno, si poteva comperare un laptop, molto più ingombrante certo, ma molto più funzionale.
Comunque sia, come detto in precedenza, Apple conservò le idee migliori del progetto e le ripropose, ovviamente in contesti differenti, dopo oltre un decennio.
All’inizio del nuovo millennio, Apple Computer poteva guardarsi le spalle e tirare un sospiro di sollievo: il ritorno del suo fondatore, Steve Jobs, era stato un toccasana. Lo storico CEO, difatti, aveva non solo evitato la bancarotta, ma aveva rilanciato l’immagine della Mela con ottimi prodotti, che finalmente, dopo tanti anni di pesante anonimato, erano riusciti a far ri-innamorare la gente del Mac.
Piazzati dunque i successi di iBook, iMac e dei potenti Power Mac (sia G3 che G4), Jobs ordinò la produzione di quello che viene considerato, ancora oggi, uno dei computer più belli della storia.
Esteticamente eccezionale, tutto il computer era rinchiuso in un case a doppio strato (plastica trasparente come protezione, ed anima d’alluminio a proteggere le componentistiche interne) di un cubo quasi perfetto (20x20x26 cm).
L’unità ottica si caricava dall’alto, ed il sistema di raffreddamento senza ventola lo rendeva silenziosissimo.
Aveva anche degli altoparlanti incorporati da 20W, e come connessioni, sfruttava due porte Firewire, due USB e poteva essere equipaggiato anche con un modulo Airport.
Il Sistema, tutto sommato, non era così rigido nelle espansioni; almeno, non come l’iMac: la scheda grafica infatti, era montata su uno slot AGP standard, e si poteva sostituire, nel caso di bisogno.
Anche la RAM, era di facile accessibilità.
Purtroppo, tutto il cubo era dannatamente costoso (sparava oltre i $ 3000), soprattutto comparato ad un ‘normale’ Power Mac G4, nell’edizione mini tower standard.
Ancora, la qualità dei materiali usati per le plastiche, non era eccezionale, e la gente cominciò a pensare che, forse, fosse un computer decisamente sovra-prezzato.
Le vendite quindi, non decollarono mai.
Nel 2001, Apple provò a rilanciarlo, abbassandone il prezzo, offrendo una migliore scheda grafica ed includendo un masterizzatore CD al posto della semplice unità di lettura, ma ormai il mercato non riusciva più ad assorbirlo.
Venne così ritirato ingloriosamente dal commercio, a neppure un anno dalla sua presentazione.
Ne furono piazzati circa 148.000 unità complessive, in tutto il mondo.
Dato quindi l’esiguo numero di elementi venduti, è una delle retro-macchine che costa di più, sul mercato del retro-collezionismo.
Nel 1999, in piena ‘internettizzazione per le masse’, le grandi aziende d’informatica cominciarono a pensare che forse, in prospettiva futura, non sarebbe stato male un connubio tra produzione di eventi e commercializzazione degli stessi tramite l’Internet.
L’intuizione era esatta, ma nel 1999 i tempi ancora non erano maturi per attuare una strategia simile, considerando che la penetrazione mondiale di una connessione decente (non dial-up, ma banda larga) era appannaggio veramente di pochi Paesi… E poca gente.
Jobs decise comunque di rischiare, e presentò in anteprima mondiale Quicktime TV, ovvero una serie di canali in streaming, visualizzabili gratuitamente attraverso il client Quicktime, di default presente in ogni Mac OS.
Fu un fiasco completo, che morì dopo pochissimo tempo.
Tuttavia, Jobs fece esperienza e, dopo pochi anni, lanciò con successo l’iTunes Store, che sarebbe diventato poi il primo negozio di musica, film, giochi e quant’altro al mondo.
Nel 2002, gran parte della popolazione internet usava, per messaggiare, principalmente due canali: il primo era storico, popolarissimo, multi-piattaforma ma in (purtroppo) rapida discesa, e si chiamava IRC. Il secondo era proprietario, pieno di bug, non per tutti gli OS ma in rapida ascesa, e si chiamava MSN. Questi due canali primari, si spartivano la quasi totalità dei messaggi scambiati nel mondo, con Yahoo Messenger e lo storico, ma in caduta libera di popolarità, ICQ a spartirsi le briciole restanti.
Jobs pensò bene quindi di buttarsi nel mercato delle chat, con un software proprietario esclusivamente per Mac: iChat.
La prima versione permetteva solo l’invio di testo, ma già dal 2003 si trasformò in un potente software per la videoconferenza.
Purtroppo, Jobs si appoggiò a servizi standard, ma poco usati fuori dagli USA, come AOL/AIM.
La mancata presenza di una versione per Windows poi, non fece altro che peggiorare la situazione: pochissima gente lo utilizzava, ed erano (ovviamente) tutti utenti Mac.
Con l’ascesa incontrollabile di Skype, nel corso degli anni, e con la rivoluzione smartphone (con WhatsApp re quasi incontrastato della messaggistica online), iChat cadde nel dimenticatoio, e fu dismesso con OS X 10.8.
Al suo posto, l’applicazione Messaggi, che ha implementato il protocollo di iMessages.
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